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L’importanza di far conoscere il Banco Farmaceutico

Il Centro di Sanità Solidale con l’Associazione Amici del Cuore di Lucca hanno aderito già da diversi mesi all’iniziativa del banco farmaceutico e, con il presente articolo, vogliamo nuovamente approfondire la conoscenza di questo progetto, che ha come scopo ultimo l’aiuto delle persone in difficoltà economica.
Il Centro di Sanità Solidale, grazie a questo accordo stipulato con la Fondazione Banco Farmaceutico, si impegna a raccogliere, schedare e custodire i farmaci che i privati cittadini hanno deciso di donare tramite i raccoglitori presenti nelle farmacie del territorio che hanno aderito a tale iniziativa (Farmacia 24 ore collegata al Centro di Sanità Solidale, Farmacia Novelli, Farmacia Sant’Anna, Farmacia Landi, Farmacia Angeli, Farmacia Lunardi)

Questi farmaci di ogni genere (esclusi quelli che richiedono una conservazione a temperatura controllata, da ospedale e della categoria sostanze psicotrope e stupefacenti) , non ancora scaduti, ma non più utilizzati dal donatore, vengono messi a disposizione delle persone in difficoltà economica in maniera totalmente gratuita.

Com’è possibile fare richiesta di farmaci al Banco Farmaceutico?

Il Centro, al momento attuale, dispone di molti farmaci ed è per questa ragione che il presente articolo vuole promuovere e divulgare il più possibile tale iniziativa, che ci preme sottolineare ancora una volta essere totalmente gratuita, proprio per andare incontro alle esigenze sanitarie delle persone più bisognose. Purtroppo, ad oggi, in pochissimi hanno sfruttato tale opportunità.

Il percorso da seguire è semplice: è sufficiente presentarsi alla segreteria del Centro di Sanità Solidale con documento d’identità, codice fiscale,ISEE e prescrizione da parte del medico curante o specialista. Successivamente, sarà l’infermiera del Centro a seguire la persona nella scelta del farmaco più indicato per l’assistito, avvalendosi anche della prescrizione medica specifica.

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Che cosa sono le calze a compressione graduata e a chi si rivolgono?

Le calze a compressione graduata sono indumenti per gli arti inferiori caratterizzati da una maglia elastica che esercita una compressione non uniforme in diversi punti della gamba, la pressione viene esercitata in modo decrescente dal basso verso l’alto, ossia dalla caviglia, dove la pressione è maggiore, fino alla coscia dove la pressione è minore.

In commercio esistono tre diversi tipi di prodotti che spesso vengono confusi sotto questo nome:

  • Calze a compressione graduata per uso medicale e terapeutico;

  • Calze elastiche preventive, dette anche da riposo, per il tempo libero o per il lavoro;

  • Calze elastiche per lo sport.

A distinguere la destinazione d’uso di questi prodotti sono:

  • La conformazione del prodotto ( in particolare il grado di pressione esercitato);

  • I materiali utilizzati;

  • L’aspetto estetico.

Il compito delle calze a compressione graduata è quello di favorire la circolazione venosa del sangue dalle gambe verso il cuore, evitando così l’insorgere di problemi legati all’insufficienza venosa quali infiammazioni delle vene, vene varicose e favorire l’ossigenazione muscolare. Per garantire una maggiore fluidità del sangue deve essere esercitata una pressione graduata: quella esercitata dai collant sulla parete dei vasi deve essere decrescente dal basso verso l’alto, quindi sul piede e sulla caviglia dovrà essere esercitata una pressione maggiore rispetto a quella sul ginocchio per favorire la risalita del sangue verso il cuore.

E’ bene ricordare che non si trattano di semplici calze stretto o attillate, non sono da considerare articoli di alta moda, sono dei veri e propri presidi medici studiati e progettati non solo ad uso terapeutico ma anche ad uso preventivo, soprattutto per tutti coloro che fanno un lavoro dove la persona è costretta a stare per tante ore in piedi o anche seduti provocando, quindi, un ristagno di liquidi agli arti inferiori con conseguente edema, dolore, pesantezza e calore delle gambe.

Una piccola curiosità per tutte le giovanissime, giovani e anche meno giovani donne: lo sapevate che le calze a compressione graduata sono ottime anche per prevenire e curare la nostra tanto odiata cellulite?
Infatti una buona irrorazione sanguigna garantisce un adeguato apporto nutritizio per i tessuti circostanti, se questa viene a mancare, il sangue tenderà sempre più a ristagnare nei capillari presenti nel tessuto adiposo, diminuendo le funzioni nutritizie. Questo processo una lenta ma inesorabile degenerazione del tessuto adiposo che si trasforma in cellulite. La causa principale di questo meccanismo “degenerativo” è data dalla natura delle nostre professioni, che ci costringono a rimanere per ore in piedi, o al contrario, su una sedia per un’intera giornata. Ecco quindi l’esigenza di una calza elastica come il “collant riposante”, capace di contenere e quindi favorire una certa elasticità per il flusso venoso. Questo presidio garantisce un continuo microrganismo anche con lievi movimenti degli arti, favorendo un drenaggio linfatico e sanguigno costante ottenendo così uno scambio gassoso più efficace a livello tissutale ridando tonicità e leggerezza alle gambe.

Le calze “riposanti” o “preventive” sono caratterizzate da un grado di compressione minore rispetto alle calze per uso terapeutico o sportivo, questo perché sono state progettate per essere indossate per lunghi periodi e offrire una sensazione di confort prolungata nel tempo. Sono particolarmente utili per il recupero della fatica dopo un’attività sportiva e sono un valido alleato per tutte/i coloro che lavorano in un ambiente che richiede di stare molte ore in piedi: commesse, infermiere, parrucchiere, cuochi, camerieri, addetti/e alle catene di montaggio ect.

Dott.ssa Giulia Barsuglia
Infermiera del Centro di Sanità Solidale

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Il privato sociale: un modo diverso di concepire la sanità.

In merito alla notizia sulle lunghe liste d’attesa nella sanità pubblica lucchese comparsa pochi giorni fa sui mass media locali, vogliamo ricordavi la nostra filosofia di “privato sociale”. Il significato di “privato” può essere tradotto nella stragrande maggioranza dei casi con un taglio importante dei tempi d’attesa, permettendo di evadere la prestazione in meno di una settimana, come capita anche al Centro di Sanità Solidale.

Un esempio su una delle visite più richieste come quella cardiologica vede un’attesa nella sanità pubblica di 253 giorni a fronte di 24/48 ore previste nella nostra struttura.

Ma noi, al “privato”, abbiamo aggiunto anche il termine “sociale”, questo è ciò che ci differenzia da tutti gli altri centri a pagamento. Poter fornire la prestazione medica richiesta con un alto livello qualitativo e in breve tempo, insieme ad una tariffa low-cost che eguaglia il ticket ospedaliero o è anche a costi inferiori. In alcuni casi, grazie al progetto San Martino che aiuta le persone in significativa difficoltà economica, le prestazioni vengono effettuate anche a costo zero.

Tutto questo è possibile grazie alla nostra équipe sanitaria, che ha sposato in pieno la filosofia del Centro e dell’Associazione “Amici del Cuore” di Lucca, rinunciando a parcelle onerose e garantendo con le tariffe applicate di coprire quasi interamente le spese di ordinaria gestione della struttura sanitaria.

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Scopriamo di più sull’importanza della visita flebologica

Quando un paziente, sia donna che uomo, riferisce gonfiore, sensazione di pesantezza alle gambe, piedi gonfi e doloranti è necessario, per eseguire una corretta diagnosi, indagare e farci narrare dalla persona come si svolge la sua vita quotidiana.

Naturalmente, chi leggerà questo articolo si chiederà il perché e a che cosa serve sapere che cosa fa il paziente durante la sua quotidianità. È importante perché dalla narrazione della propria quotidianità il professionista sanitario riesce a capire le abitudini alimentari del paziente, quindi se segue una corretta alimentazione oppure un alimentazione sbagliata e se sì capire le cause; che tipo di lavoro fa il paziente, quindi se fa un lavoro sedentario o un lavoro in cui è costretto a stare in piedi per diverse ore; quali sono i vizi del paziente: fumo, assunzione di alcolici, di droghe, abuso di bevande ricche di caffeina o teina ed, infine, è importante conoscere anche la storia clinica del paziente: malattie infettive, operazioni chirurgiche, familiarità positiva per malattie cardiovascolari, patologie oncologiche, ipertensione, ipercolesterolemia, diabete mellito e altre patologie, allergie alimentari e/o agli inalanti (pollini, graminacee, pelo del gatto o del cane ect) e, soprattutto, allergie ai farmaci.

Solo dopo aver fatto una corretta anamnesi del paziente è possibile procedere alla visita medica vera e propria.

Tutte le visite specialistiche dovrebbero basarsi su questo schema in quanto il Professionista deve sapere chi si trova di fronte anche e soprattutto per organizzare un piano terapeutico anche farmacologico e pianificare altri eventuali accertamenti.

Facciamo un esempio, durante una visita cardiologica il paziente riferisce di soffrire di vene varicose ed è costretta, causa lavoro, a stare diverse ore in piedi e la sera quando torna a casa dal lavoro riferisce di avere gambe e piedi gonfi e pesanti, come se avesse dei pilastri di cemento. Durante la visita medica, il Cardiologo effettivamente nota che la paziente presente entrambe le gambe con vene varicose e leggermente edematose, motivo per il quale consiglia una visita con un Flebologo e un ecocolordoppler degli arti inferiori.

In questo caso, se alla paziente non fosse stato chiesto che tipo di lavoro fa, oppure la sua storia clinica, il Professionista non avrebbe potuto consigliare di eseguire un ulteriore accertamento specialistico. Quindi, le domande da fare sono importanti per due motivi principali: in primis la narrazione da parte del paziente serve per raccogliere più informazioni possibili relative al suo stato di salute e alla sua storia clinica al fine di eseguire una diagnosi e organizzare un piano assistenziale e terapeutico il più possibile personalizzato alle esigenze e ai bisogni della persona; in secondo luogo in quanto ognuno di noi quando ci rivolgiamo ad uno Specialista ci aspettiamo di ricevere numerose domande riguardo al problema per il quale ci rivolgiamo a lui. Questo perché, mettendoci nei panni del Medico che ci vede per la prima volta, ci chiediamo come faccia non a fare una corretta diagnosi ma, soprattutto, a prescrivere una corretta terapia farmacologica o di altro genere.

Tutto ciò sopra detto è importante per far capire al lettore che una visita medica specialistica, nel nostro caso, una visita flebologica, non si limita alla semplice esecuzione di un ecocolordoppler dei vasi degli arti inferiori ma va ben oltre. La visita flebologica è un esame preventivo ed importante per tutti coloro, sia uomini che donne, che lamentano sintomi come peso, edemi, crampi, bruciori agli arti inferiori, oppure a persone che già sanno di soffrire di patologie circolatorie o di vene varicose o a tutti coloro che hanno una predisposizione genetica a questi disturbi o a chi lavora molte ore in piedi. La visita flebologica è di fondamentale importanza per la diagnosi di una patologia venosa e consente di accertare la natura dei sintomi riferiti dal paziente e di predisporre il trattamento idoneo. La visita, inoltre, consente di monitorare l’andamento della malattia e di valutare l’adeguatezza dell’eventuale terapia suggerita che potrà essere medica o chirurgica, volta quest’ultima a correggere l’insufficienza venosa (varici degli arti inferiori). Sono di interesse flebologico anche il trattamento delle trombosi superficiali e profonde, le ulcere e l’approccio agli inestetismi dovuti alle teleangectasie (capillari).

Come già detto in precedenza, la visita flebologica si apre con un primo momento di anamnesi in cui il flebologo cercherà di tracciare un quadro dello stato di salute del paziente includendo anche lo stile di vita, le principali attività e il lavoro svolto. L’analisi dei sintomi e delle zone interessate si esegue con la palpazione in posizione eretta, seduto e sdraiato sul lettino. Successivamente, si procede con l’esame ecografico (l’ecocolordoppler), che permette di osservare lo stato dei vasi sanguigni, di valutarne lo stato delle pareti, la presenza di patologia a carico delle valvole e di misurare la velocità e la direzione dello scorrimento del sangue. La visita flebologica, infine, ci consente di programmare un tempestivo intervento sul paziente e solo il medico specialista può proporre la terapia indicata per il caso specifico.

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I test genetici prenatali.Scopriamo perchè sono così utili.

In questi ultimi anni sono aumentate le richieste di cosiddetti esami prenatali.

In che cosa consistono questi esami?

Il nostro Centro è convenzionato con il più importante laboratorio di genetica italiano, Genoma Group, che ha messo sul mercato due diversi screening prenatali: Prenatal Safe e Gene Safe.

Il Prenatal safe è un esame prenatale non invasivo che, analizzando il DNA fetale libero circolante isolato da un campione di sangue materno, prevede 6 livelli di approfondimento grazie ai quali è possibile ottenere il quadro informativo più completo in gravidanza.

Si tratta di uno screening prenatale che permette di vedere aneuploidie e sindromi da microdelezione, dalle più comuni a quelle più rare, alterazioni strutturali in tutti i cromosomi del feto e la presenza di mutazioni correlate a gravi patologie genetiche.

Per quanto riguarda la gamma degli esami Prenatal Safe esistono 5 diversi tipi di esami:

  • PrenatalSafe 3: screening delle aneuploidie relative ai Cromosomi 13,18 e 21;
  • PrenatalSafe 5: screening delle aneuploidie relativi ai Cromosomi 13,18,21 X e Y;
  • PrenatalSafe 5 plus: esame che comprende il PrenatalSafe 5 e l’approfondimento di secondo livello per individuare la presenza nel feto della trisomia dei cromosomi 9 e 16 e di 6 tra le più comuni sindromi da microdelezione:
  1. Sindrome di Angelman
  2. Sindrome Cri-du-chat
  3. Sindrome da delezione 1p36
  4. Sindrome di DiGeorge
  5. Sindrome di Prader-Willi
  6. Sindrome di Wolf-Hirschhorn

 

  • PrenatalSafe Karyo: è il test di screening prenatale non invasivo tra i più tecnologicamente avanzati attualmente disponibili. Rileva le aneuploidie comuni ( Trisomia 13,18,21 e le aneuploidie dei cromosomi sessuali) e meno comuni ( Trisomie 9,16,22) e le alterazioni cromosomiche strutturali ( duplicazioni e delezioni segmentali) a carico di ogni cromosoma del feto.
  • PrenatalSafe Karyo plus: screening che comprende il PrenatalSafe Karyo e l’approfondimento di secondo livello per individuare 9 tra le più comuni sindromi da microdelezione.

Questo screening va ad individuare le patologie che vengono trasmesse direttamente dai genitori al feto.

 

Ad oggi è stato creato e messo sul mercato anche un altro esame prenatale che va ad individuare le patologie non direttamente trasmesse dai genitori, ossia il GeneSafe.

Anche il GeneSafe, come il PrenatalSafe, presente 3 diverse tipologie di esami:

  • GeneSafe Inherited: Il test GeneSafe Inherited permette di individuare mutazioni su 4 geni responsabili delle malattie genetiche più frequentemente riscontrate nella popolazione Italiana, quali Fibrosi Cistica, Anemia Falciforme, Beta Talassemia e Sordità Ereditaria (sia di tipo 1A che 1B).
  • GeneSafe DE NOVO: Il test GeneSafe DE NOVO , permette di rilevare mutazioni su 25 geni in relazione a 44 malattie monogeniche. Le mutazioni individuate dal test GeneSafe DE NOVO possono insorgere in modo casuale nel feto. Tali mutazioni, denominate de novo, non sono rilevabili con i test di screening pre-concezionali eseguiti sui genitori poiché a carattere non ereditario. La presenza di mutazioni de novo in uno dei geni investigati può causare nel bambino displasie scheletriche, difetti cardiaci, anomalie congenite multiple, e/o deficit intellettivi.
  • GeneSafe Complete: è lo screening della gamma GeneSafe più completo in quanto permette di individuare sia le 4 patologie a trasmissione ereditaria che le patologie individuate nell’esame GeneSafe DE NOVO, al fine di eseguire uno screening il più possibile completo.

 

Gli screening prenatali possono essere eseguiti dalla gestante dalla 10 settimana di gravidanza in poi, in quanto è dalla 10 settimana che la percentuale di DNA fetale scorre in maggior percentuale all’interno del sangue materno. Questi screening vengono effettuati tramite un semplice prelievo del sangue che la paziente può prenotare presso il nostro Centro ed eseguire dal lunedì al giovedì sia mattina che pomeriggio.

Inoltre, la paziente può richiedere alla nostra accettazione di poter avere, anche tramite e-mail, della documentazione informativa su tutti gli screening prenatali, in quanto gli esami del PrenatalSafe possono essere abbinati anche agli esami della gamma GeneSafe al fine di eseguire uno screening il più possibile completo.

E’ da precisare che questi esami sono esami di screening che sono validi al 99,99% e che non  vanno a sostituire a quelli che sono gli esami invasivi: Amniocentesi e Villocentesi. Infatti, qualora alla paziente che ha effettuato lo screening prenatale arrivi un referto positivo, il Genetista che ha eseguito l’esame consiglia di eseguire l’esame invasivo, in quanto costituisce ad oggi l’unico accertamento valido al 100%.

Infine, la paziente prima e dopo lo screening può richiedere un colloquio con un Genetista al fine di ottenere maggiori informazioni.

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Il lavoro d’équipe

Il lavoro d’équipe oggi è il metodo più efficace per favorire il raggiungimento degli obiettivi professionali e per tutelare il professionista da eventuali rischi di isolamento e di bornout, soprattutto in contesti socio-assistenziali. Il gruppo di lavoro rappresenta una vera e propria risorsa sia per il Professionista, facente parte dell’equipe, che per il paziente che viene preso in carico da essa. Tale gruppo è costituito da più figure Professionali: medici, infermieri, psicologi, psichiatri, fisioterapisti che operano in modo integrato ed efficace in ciascuna fase del percorso di assistenza volto a migliorare la qualità di vita del paziente: dalla progettazione del programma assistenziale, alla sua attuazione e alla sua valutazione periodica e finale.

L’integrazione tra le varie figure professionali, all’interno dell’équipe, può avvenire solo se ogni professionista mantiene il proprio ruolo all’interno del gruppo, ma riconosce e rispetta anche i ruoli e la posizione gerarchica delle altre figure professionali facenti parte dell’équipe.

Molto utile è l’organizzazione periodica di riunioni, dove i diversi professionisti si confrontano e condividono le proprie informazioni rilevate e permette di avere una visione globale e completa dei casi clinici di cui questi si occupano, ognuno secondo il proprio ruolo e la propria prospettiva. Inoltre, un monitoraggio che coinvolga ogni aspetto dei singoli percorsi di intervento permette di apporre cambiamenti, soprattutto quando il piano assistenziale non dà i risultati attesi dal professionista e dal paziente.

Per una buona attività d’équipe è necessario creare un filo conduttore a livello empatico e di pensiero tra i professionisti che vi operano, per far si che non vi siano discordanze di opinione su come agire.

Il gruppo di lavoro si divide in quattro livelli:

– un primo livello dei contenuti, relativo alla definizione del caso clinico, degli obiettivi e delle operazioni per raggiungerli;

– un secondo livello dei metodi, legato all’organizzazione della comunicazione, dei suoi spazi, tempi e modalità;

– un terzo livello dei processi comunicativi;

– un quarto livello delle dinamiche di gruppo, relativo alla gestione di eventuali conflitti.

Prioritario, quindi, nel lavoro di gruppo è quello di creare un clima favorevole alla comunicazione tra le varie figure professionali e di evitare dinamiche dove ognuno rimane chiuso nella propria posizione, non accogliendo il punto di vista altrui.

Lavorare in équipe significa, infatti, riuscire ad utilizzare tutte le risorse messe a disposizione da ogni professionista, valorizzando ogni singola opinione, ritenendola degna di ascolto anche se molto diversa dalla propria.

Ciò implica saper riconoscere i propri limiti ed essere aperti all’idea che l’altro professionista possa fornire informazioni, conoscenze e competenze che possono essere integrate con le proprie per operare al meglio. Laddove nascano divergenze di opinioni e conflitti è importante da parte di ogni professionista mettere in atto la propria capacità di autocontrollo e un atteggiamento empatico e flessibile, mantenendo sempre presente che lo scopo principale deve rimanere sempre quello di migliorare lo stato di benessere del paziente e non di dimostrare che la propria opinione è migliore rispetto a quello di altre figure professionali.

In queste situazioni può essere utile la presenza di un coordinatore che il compito di gestire la turnazione in modo che tutti possano partecipare attivamente alla discussione, evitando che ci siano persone che manipolano la comunicazione o si impongano su altri.

Il coordinatore, inoltre, ha il compito di gestire i possibile conflitti, che possono emergere dal rimanere rigidamente fermi sulla propria posizione e fa attenzione che nessuno si isoli, si distragga o assume comportamenti non idonei, al fine di garantire una comunicazione fluida, chiara e serena.

L’obiettivo è anche quello di creare un setting, dove il professionista si senta libero di esprimersi, senza doversi mettere sulla difensiva per il timore di essere giudicato: ogni punto di vista professionale deve essere valorizzato per l’importante contributo che porta, prezioso per il raggiungimento di progetti veramente efficaci.

Questa tipologia di operare in maniera integrata e partecipativa è ciò che viene applicato dai professionisti del Centro di Sanità Solidale che, avendo imparato a conoscersi non solo dal punto di vista professionale, hanno permesso di creare un ambiente di lavoro produttivo e qualificato, a tutto vantaggio delle persone che ogni giorno usufruiscono dei nostri servizi.

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La Medicina narrativa: il rapporto professionista sanitario e paziente durante l’anamnesi clinica

Innanzitutto è importante sapere che cos’è la Medicina narrativa. Con tale termine si intende una metodologia d’intervento clinico-assistenziale basata su una specifica competenza comunicativa. La narrazione è lo strumento fondamentale per acquisire, comprendere, confrontare ed integrare i diversi punti di vista di coloro che partecipano al processo di cura del paziente. Il medico e tutti i Professionisti sanitari hanno il compito di raccogliere l’anamnesi del paziente, ma, ancora prima, deve avere la capacità di saper ascoltare la narrazione di colui che gli sta di fronte. La narrazione della patologia del malato al professionista è fondamentale al pari dei segni e dei sintomi clinici della malattia stessa.

Il fine è la costruzione condivisa di un percorso di cura personalizzato. La Medicina narrativa si integra con la Medicina “scientifica” e, tenendo conto delle pluralità delle prospettive, rende le decisioni clinico-assistenziali più complete, personalizzate, efficaci e appropriate. La narrazione da parte del paziente ma anche di coloro che gli stanno vicino è un elemento imprescindibile delle Medicina contemporanea, perché si fonda sulla partecipazione attiva dei soggetti coinvolti nel percorso assistenziale; quindi anche il paziente, attraverso la sua storia, diventa protagonista del processo di cura.

La scoperta di una malattia rappresenta per l’individuo un’esperienza traumatica, un processo di separazione tra sani e malati che fa sperimentare al paziente e ai suoi familiari una condizione di estrema solitudine. Questa sensazione di solitudine inizia prima che la malattia si manifesti e cresce più o meno velocemente a seconda di molteplici elementi: caratteristiche del paziente, della malattia, dell’ambiente che circonda la persona ammalata, i familiari e tutti coloro che sono vicini al paziente stesso.

Il modo più efficace per costruire un rapporto di fiducia con il paziente è quello di saper accogliere l’ansia, le preoccupazioni, i dubbi del malato, rispondendo a tutto questo con l’ascolto, che deve essere non solo aperto ma soprattutto attivo e partecipato. Il Sanitario deve sapere accogliere le domande del paziente, in quanto molto spesso si tende a considerare fuori luogo le domande che la persona ci pone; in realtà non esistono domande inutili in quanto il fine ultimo della relazione terapeutica è quello di far uscire il paziente dall’ambulatorio con le idee chiare su quella che è la sua malattia e su quali saranno i passi successivi alla visita diagnostica. Il paziente non deve uscire dalla visita pieno di dubbi che lo tormenteranno per tutti i giorni avvenire fino alla prossima visita; non deve tornare a casa con un sentimento di tristezza e di depressione, ma l’obiettivo è quello di rassicurare l’individuo e non di aumentare le sue paure ed ansie.

Ad oggi il Medico non è più l’unica fonte di informazioni, ma il paziente riesce ad ottenere numerose delucidazioni riguardanti la propria malattia da diverse fonti di comunicazione e ricerca: basta vedere la quantità di informazioni ( errate o meno) che si possono trovare su internet, sui social, su forum che trattano di una determinata malattia, dalla televisione e dalla radio. Per questo motivo il Professionista deve saper considerare le possibili interferenze che si possono insinuare nel rapporto con il paziente, in quanto non si deve dimenticare che la fiducia va conquistata e non pretesa dal malato, perché si rischia di perdere il paziente e soprattutto che quest’ultimo si rivolga ad ulteriori medici o, peggio ancora, di cadere in mano a “terapeuti” senza scrupoli.

Per concludere, il rapporto tra Professionista Sanitario e paziente è come l’amicizia, deve essere coltivata ogni giorno, basato sulla fiducia e l’empatia. Un rapporto costruito su questi principi acquista un valore in più rispetto al semplice buttare giù una pastiglia: come una sorta di effetto placebo vivo, ossia si trasforma in una medicina capace di lenire la sofferenza del malato, il suo dolore, lo stress legato alla patologia.

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L’estate è in arrivo… come prepararsi in 3 punti!

1. Bere molta acqua
Con l’arrivo della bella stagione e con l’aumento delle temperature, mantenere una buona idratazione è fondamentale! Il fatto che il nostro corpo sia costituito da circa il 70% di acqua è chiaramente indicativo di quanto questo elemento sia essenziale per il nostro organismo.

Tutte le cellule necessitano di acqua per esplicare le più basilari funzioni vitali: ottengono ossigeno e nutrienti attraverso il sangue e il sistema linfatico grazie al trasporto veicolato dall’acqua e allo stesso modo eliminano le sostanze di scarto. Inoltre, la maggior parte delle reazioni chimiche e dei processi metabolici che avvengono all’interno del nostro organismo richiedono come mezzo di reazione proprio l’acqua. Questo elemento è anche responsabile della regolazione del volume cellulare, della temperatura corporea ed è molto importante per la funzionalità dell’intestino, per la digestione e per la funzionalità del sistema nervoso centrale. Bere molta acqua migliora anche l’aspetto e la salute della pelle e delle mucose. È particolarmente importante aumentare l’apporto idrico durante i mesi estivi e quando si fa sport, in modo da recuperare l’acqua e minerali persi con la sudorazione.
Le elevate temperature estive e l’attività fisica generano, infatti, calore nel corpo. Per prevenire un innalzamento eccessivo della temperatura corporea l’organismo incrementa la produzione di sudore che, evaporando, sottrae calore al corpo surriscaldato. Tutte queste perdite, sia di acqua sia di sali minerali, sono da compensare nell’immediato per ridurre al minimo gli effetti dannosi della disidratazione.

Se bere acqua risulta difficile, via libera ad acque aromatizzate alla frutta, té/tisane fredde non zuccherate, estratti e centrifughe a base di frutta e verdura.

2. Curare l’abbronzatura con l’alimentazione
Il beta-carotene, precursore della vitamina A, è sicuramente un buon alleato dell’abbronzatura. Questa molecola ha numerose funzioni benefiche per la salute: protegge le cellule dai danni indotti dalla perossidazione lipidica e dai radicali liberi e rallenta l’invecchiamento cellulare e della pelle. La vitamina A introdotta con la dieta può essere depositata oltre che nel fegato, che costituisce il deposito principale, anche in altri distretti come il rene, il polmone, l’occhio, gli adipociti e gli epiteli. Depositandosi anche all’interno della cute esplica le sue proprietà fotoprotettive e protegge dallo sviluppo della scottatura solare e dalla fotosoppressione del sistema immunitario. Inoltre, il betacarotene contribuisce a donare una colorazione arancio-dorata alla pelle e potenzia l’effetto dell’induzione da parte dei raggi UVA di uno specifico recettore richiesto per l’abbronzatura (PAR-2) che porta a un maggior contenuto di melanina nella pelle. Quantitativi elevati di betacarotene sono presenti nei vegetali ad alto contenuto di clorofilla o di altri pigmenti, in particolare nella frutta e verdura di colore arancione. Esempi possono essere i pomodori, i peperoni rossi, le carote, il mango, le albicocche ed il melone. Il betacarotene è presente, in misura minore, anche in latte e formaggi, meglio se stagionati.

3. Muoversi
Il movimento è fondamentale per stare bene in tutte le stagioni. Nei mesi prossimi all’estate diviene ancora più importante per migliorare la tonicità e l’aspetto della pelle, per sentirsi più leggeri e più attivi da un punto di vista mentale. L’OMS raccomanda il raggiungimento di 150 minuti settimanali di attività fisica di moderata intensità, traducibili in mezz’ora al giorno, 5 volte a settimana. Per i soggetti sedentari basta uscire, evitando le ore più calde, per una passeggiata a passo sostenuto in sessioni non più brevi di 30 minuti.

Dott.ssa Beatrice Francioni
Biologa nutrizionista del Centro di Sanità Solidale

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